venerdì 15 marzo 2013

déplacement culinaire...da un passato lontano... ad un paese straniero... Farinata di ceci









Premetto che io la farinata, cecina o come volete chiamarla voi, non l'ho mai mangiata.
Caso vuole che con la farina di ceci rimasta, dopo averla usata per le mie crespelle zucca e amaretti, la prima ricetta che mi e' venuta in mente e' stata questa.
Certo e' che, benche' motivata da un misto di curiosita' voglia sperimentatrice, quando cucino qualcosa di cui non ho neanche un vago ricordo e' sempre un po' un punto interrogativo.
 Per l'occasione, cercando e confrontando in rete alcune ricette e metodi di cottura, scopro che questa ricetta dalla semplicita' disarmante ha una storia lunga che si perde nella notte dei tempi.
Convinta di assecondare una delle mie bislacche voglie di cibo non proprio autoctono scopro invece che in realta', qualcuno molto prima di me, in questa isola lontana dal Bel Paese, probabilmente questa ricetta l'ha gia' cucinata piu' di una volta!

Una preparazione molto simile e' documentata fin dai tempi dell'impero romano. Per le sue caratteristiche altamente nutritive e per il suo costo decisamente basso, i soldati romani solevano cuocere un impasto di farina di ceci e acqua suoi loro scudi resi roventi dal sole per sfamarsi durante le loro campagne belliche.

E non vedo il perche' questo non potesse essere successo anche a Londinium, citta' romana fondata intorno al 43 d.c.

Cosi' saltellando da una ricetta ad un'altra prendo per buona un' informazione storica sul modo di gustarla durante il medioevo e come al solito rielaboro a  modo mio!

Sembra infatti che la farinata si servisse con un trito di cipolle bagnate di aceto e con del formaggio fresco.
Dunque perche' non stufare una bella cipolla rossa e caramellarla con aceto balsamico e zucchero e non servire il tutto accompagnato da una bella fetta di ricotta di pecora spolverata di pepe rosa?

Perche' no? Ed infatti ecco la mia versione di un piatto che viene da lontano...in tutti i sensi!

Ingredienti per la farinata ( per 2-3 persone)

150 g di farina di ceci
300 ml di acqua a temperatura ambiente
poco meno che mezzo bicchiere d'olio  d'oliva
sale e pepe.
Per le cipolle
2 cipolle rosse
due cucchiai di aceto balsamico
due cucchiaini di zucchero di canna
pepe e sale
pepe rosa per condire la ricotta

In una ciotola con la farina di ceci aggiungi l'acqua a poco a poco, mescolando e cercando di evitare che si formino dei grumi.
Una volta formata una pastella liquida, lascitela riposare, coperta da una pellicola o un coperchio, per almeno un 4 -5 ore, mescolando di tanto in tanto.
Aggiungere poi l'olio avendo cura che vengo completamente assorbito dall'impasto.
Versare il tutto in una teglia bassa, preferibilmente di rame, anche se una di alluminio andra' bene lo stesso.
Cuocerla in forno gia' caldo a 240 gradi per all'incirca una decina di minuti.
visto che la farinata va mangiata calda appena sfornata avrete cura di preparare le cipolle di accompagnamento prima di infornarla.
Sbucciate e affettate grossolanamente le cipolle. Fatele rosolare in una padella con dell'olio d'oliva  aggiungendo un goccio d'acqua calda fino a che non saranno morbide. Aggiungete poi due cucchiai di zucchero e l'aceto balsamico. Aspettate che si riduca il liquido e che si formi il caramello.

Servire la farinata calda cosparsa di pepe fresco, cipolla e una fetta di ricotta di pecora fresca, spolverata di pepe rosa.










domenica 10 marzo 2013

la mia roma sparita...e ritrovata

  

I volti, le pietre, la città: Mario Carbone, Emilio Gentilini 1952 – 1985, fotografie dalla collezione del Museo di Roma in Trastevere, dal 1 Marzo al 5 Maggio, Museo di Roma in Trasvere.



La sensazione, allo stesso tempo sconfortante e confortante, che caratterizza i miei ritorni a Roma e' ultimamente la consapevolezza dell'immobilita' di questa citta' o quanto meno, la lentezza pachidermica che contraddistingue il suo processo di cambiamento. 
Impalcature che entrano a far parte del landscape metropolitano, quasi fossero state li' per millenni come il Colosseo, forni nascosti che sfornano nel cuore della notte cornetti caldi dal nome irriverente( sorchetta doppio schizzo), sempre gli stessi crateri formati dallo scrosciare dell'acqua di temporali estivi.
L'ora dell'aperitivo, la stessa di cinque anni fa, al solito posto...lo stesso buffet e lo stesso Cosmopolitan ( Freni e Frizioni)


 

Il cappuccino e il cornetto preferito, al bar dove andavi dieci anni fa e il barista del quale ricordi perfettamente il nome, che ti guarda come fossi un fantasma e ti chiede come va.
Questa e' la mia Roma a volte sparita perche' non piu' quotidiana, perche' ricordo e nostalgia ma sempre ritrovata e a volte riscoperta come nel caso di posti che, se fossi li, visiterei spesso come Eataly.
Filiale romana, aperta da meno di un anno, del riuscitissimo esperimento di marketing culinario per la vendita e la promozione delle eccelleze italiane-alti cibi-come recita il sottotitolo del nome.
Una sorta di grande centro commerciale stabilitosi sui 4 piani dell'abbandonato ex Air Terminal Ostiense, in un quartiere gia' colonizzato da un colosso della cultura gastronomica italiana: Il Gambero rosso, con la sua Citta' del Gusto.

La formula di Eataly prevede diversi reparti e ristoranti tematici, un piano dedicato a convegni, seminari, attivita' e perfino una libreria a tema gastronomico.
In qualche modo mi ha ricordato il concept dell'americano Whole Foods, approdato anche qui in terra Angla. Il punto e' che nei 4 piani, protagonista assoluta e' l'Italia e il suo variegato patrimonio culinario, mentre in uno degli, pur altrettanto grandi Whole Foods, si trovano prodotti di cucine di tutto il mondo che riescono nell'intento di riempire decine di scaffali.

Una paragone del genere vuole solo mettere l'accento sull'unicita' e la ricchezza di un Paese ultimamente troppo bistrattato e beffeggiato anche dai suoi stessi cittadini.
La scelta di mostrare al mondo il meglio della piccola e grande produzione enogastronomica italiana, rappresentata da marchi storici e da piccole produzioni di nicchia, e' un modello che si potrebbe e soprattutto dovrebbe seguire per promuovere altre eccellenze italiane.

Accogliere e guidare il consumatore e l'appassionato di cibo in un viaggio attraverso il nostro paese, non declamando primati ma facendoli assaggiare e lasciando la possibilita' di portarseli a casa e' quello che ho visto a Eataly.



E sull'onda di questa idea sono felice di condividere con voi la conoscenza di un artigiano del gelato che predica e non solo, gli stessi valori. 

Nella vecchia e sgangherata Roma del mio cuore, nel quartiere San Lorenzo, c'e' ora il Gelataccio.
Il meglio degli ingredienti del Lazio, quando possibile, danno vita al gelato alle fragole di Terracina, al caffe' di Sant'Eustachio, alla ricotta D.O.P. di Rieti con l'anice, alla ciliegia Cerasa di Palombara Sabina o alle nocciole dei Monti Cimini.
Gli fanno compagnia ingredienti ormai internazionalmente riconosciuti come il Pistacchio di Bronte certificato o il marsala siciliano per aromatizzare lo "Zabaione Vecchio Marsala".
 Il tutto puo' essere gustato mangiando da coppette e cucchiaini della Minimo Impatto, azienda di Fiano Romano che fa prodotti biodegradabili e compostabili.
Insomma, con un po' di anticipo sulla tabella di marcia delle stagioni, io andrei a dare un'"assaggiata" per supportare un mastro gelataio onesto che crede in quello che fa e soprattutto per gustarvi un po' di quella Roma sparita che amo tanto.